XVIII Domenica anno C 2022
“Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità”.
(Qoèlet 1,2)
“Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”.
(Luca 12,20)
Uomo: vaso forato?
Se l’essere umano si affatica nel cercare beni e ricchezze da tramandare ai posteri, si renderà ben presto conto di costruire sulla sabbia, nonostante tutto il suo affannarsi: secondo il poeta latino Lucrezio l’uomo è un “vaso forato”; nessuna cosa posseduta potrà mai riempirlo ed egli si troverà frustrato al termine della vita.
Cosa è lecito desiderare, dunque? Non quello che ci propina la pubblicità, né ogni “bisogno”, desiderio e voglia passeggera! Oltretutto, la maggior parte delle “necessità” sono indotte allo scopo di creare nuovi consumi e generare nuovi bisogni in persone che Qoèlet così sfida: “Vanità delle vanità: tutto è vanità”.
Questo autore annoverato tra i libri sacri – grande poeta e, forse, agnostico – ha compreso il senso della vita. E mentre ripete all’inverosimile che tutto è vanità, può permettersi di fare dell’ironia su chi è preoccupato d’accumulare denaro: “Con il crescere delle ricchezze aumentano i profittatori” (Qoèlet 5,10). È cosciente che le parole sono logore e sfilacciate, ma non esita a sfidare il ricco che torna alla terra senza poter godere del frutto delle sue fatiche.
Cristo, facendo suo il messaggio di Qoèlet e dei libri sapienziali, racconta la parabola di colui che si affida a quella ricchezza che la Bibbia chiama “maledizione”: riguarda l’assurda avidità di accumulare beni per se stessi, ignorando i bisogni del prossimo. A chi si comporta in questo modo ecco il monito: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”.
Stolto questo ricco che non soccorre chi di lui ha bisogno. Stolto come il sacerdote e il levita che scansano l’uomo incappato nei ladroni, vanno dall’altra parte della strada – ma esiste un’altra parte? –, non si piegano sulle ferite del malcapitato, non perdono tempo per portarlo al riparo… Chi agisce così è un maledetto che vede solo se stesso (papa Francesco si indignerebbe per l’“indifferenza fratricida”). È come il ricco epulone, il cui peccato consiste nel fatto che neppure vede Lazzaro che giace alla sua porta. E che sia un “maledetto” viene espresso anche dal fatto che non abbia un nome. Mentre il povero è chiamato per nome e come tale ha una dignità e un futuro (“Lazzaro è portato nel seno di Abramo”), il ricco è una nullità, è come le foglie secche autunnali, spazzate via dal vento.
Vasi di creta impregnati di Cristo
Mentre Lucrezio definisce l’uomo “vaso forato”,San Paolo scrive che il cristiano è un vaso di creta che contiene in sé un tesoro immenso: Cristo. Ora, la creta ha questa proprietà: si impregna del suo contenuto, per cui, ad esempio, se in essa mettiamo dell’olio non possiamo poi mettere del vino, e viceversa. Se in noi abita Cristo, l’uomo perfetto, in noi c’è posto per tutta l’umanità. Se invece siamo impregnati solo di umanità, non c’è più posto in noi per Cristo, per Dio, per valori umani e divini.
Ecco, quindi, in che cosa consiste la stoltezza denunciata da Gesù nella parabola odierna: avere desideri mondani, aggrapparsi a ciò che è effimero, vivere ripiegati su se stessi al punto da non essere più capaci di vedere gli altri. Essere talmente ciechi e insensibili da ignorare l’altrui fame di pane e di amore. Alla denuncia di Cristo fa eco San Paolo nella seconda lettura di oggi. L’Apostolo motiva così la necessità di non disperdersi nella vanità dei desideri mondani, ma di aggrapparsi a ciò che dura eterno:“Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria. Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria” (Colossesi 3,1-5).
Paolo ci insegna che la vera sapienza consiste nello stare aggrappati a Cristo, rivestirci di Cristo, essere noi stessi Cristo già fin da ora, nell’attesa del giorno beato in cui vedremo Dio faccia a faccia: allora saremo come Lui, perché “Cristo sarà tutto in tutti”.
Beato chi è reso “povero” dallo Spirito
Cristo, di fronte al ricco che desidera solo cose materiali e accumula beni per sé, esplode in quel grido che, nel contesto della cultura del suo tempo, simula il pianto funebre fatto davanti alla vedova che perde il suo unico figlio: “Guai a voi ricchi!”. E nel Discorso della montagna proclama la povertà come la prima delle Beatitudini. Non dice: “Beati i poveri in Spirito”, bensì: “Beati voi resi poveri dallo Spirito”.
La povertà in sé (quella sociologica) non è una beatitudine, anzi è una disgrazia. È compito della comunità dei credenti togliere i poveri dalla loro condizione. Dio vuole che noi passiamo da ricchi (coloro che hanno e accumulano per sé) a signori (coloro che possiedono, ma fanno circolare i beni). Cristo non ci invita a privarci del necessario, bensì ad avere qualche cosa in più da condividere con tutti.
Egli non ci chiede di spogliarci, ma di rivestirci di Lui per poter rivestire chi è nudo, donandogli dignità. Per far questo, però, ci è chiesto spesso di abbassare il tenore della nostra vita, per permettere agli altri di alzarlo. Ci è chiesto di avere per poter dare, e non solo in termini materiali. Ci è chiesto, in altre parole, di fare come Gesù, il buon Samaritano, che si curva sulle nostre ferite, ci prende tra le braccia, ci nasconde nelle sue piaghe e ci sussurra: “Vanità delle vanità e tutto è vanità, tranne l’amare”.
Valentino Salvoldi
NB: Chi fosse interessato a leggere il mio commento a Qohelet, me lo può chiedere: lo posso mandare in PDF. Qohélet, anche tu parola di Dio? Vita preziosa perché fragile. Prefazione di Gianfranco Ravasi.