XIX domenica Anno C
(Luca 12,32-48)
“Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate,
viene il Figlio dell’uomo”
Tutto è vano, tranne l’amare
“Stolto, questa notte morrai, e allora…?”. Con simili parole, la liturgia di domenica scorsa ci sfidava, raccontando la parabola dell’avido ricco che accumula beni terreni per se stesso. Ricco maledetto, perché adopera male quella ricchezza che sarebbe un bene se fosse distribuita in maniera giusta, in base alle esigenze dei più poveri. Degli impoveriti.
“Questa notte morrai!”, dice Cristo, riassumendo l’insegnamento dei libri sapienziali e il grido di Qoèlet: “Vanità delle vanità – dice l’Ecclesiaste – Vanità delle vanità: tutto è vanità”.
Tutto è vano, in questa nostra vita? Tutto tranne l’amare, cercare di essere un dono per tutti e vivere nella vigile attesa del ritorno del Signore, quando busserà alla nostra porta.
Beati noi se Egli ci troverà vigilanti, con la lampada accesa, vale a dire, con una fede tenuta viva dalle opere di giustizia e di misericordia.
Beati noi se avremo capito che il nome di Dio è “Misericordia” e se saremo in grado di giustificarci così davanti a Lui: “Nonostante tante nostre imperfezioni, difetti e colpe, abbiamo pur sempre cercato il tuo volto davanti al tabernacolo e l’abbiamo trovato sul volto del povero”.
Beati noi se avremo fatto nostro il canto della Vergine Madre, Maria, lodando il Signore che ha rivolto a noi il suo sguardo, ci ha sollevati dalla nostra miseria, ci ha ricolmati di beni per poter servire sempre meglio il nostro prossimo.
La Madonna ci offre l’esempio più bello del modo in cui mettere in pratica la liturgia di queste domeniche. Liturgia che ci invita a fare della povertà evangelica la nostra ricchezza. E tale povertà – permettetemi che mi ripeta – consiste nella capacità di svuotarci dell’ingombrante “io” e di tutto ciò che è superfluo, per far posto in noi a Dio e al prossimo.
“Dio disperde i superbi e innalza gli umili”
Il canto di Maria, il Magnificat, mette in evidenza quanto sia negativa la situazione del ricco, dell’orgoglioso arrogante e del superbo che, pieno di sé, conta sul suo braccio, sulla sua forza, sulle sue ricchezze al punto di non vedere più il povero che giace alla porta del suo palazzo (è il caso del ricco epulone) o di essere così stolto da continuare ad accumulare beni, sprezzante della morte: “… questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”.
Stolto il ricco epulone per non aver rivolto lo sguardo al povero. Stolto il ricco che accumula e fa costruire nuovi granai, senza fare i conti con la sua fine. La sua, la nostra fine che avverrà presto, anche se fosse tra trenta… cinquant’anni…
Maria ha a cuore l’azione e il primato di Dio, il cui braccio compie opere grandi per i poveri che sanno attendere il momento in cui il Signore tornerà sulla terra a ristabilire ogni cosa, a ricompensare i giusti.
La Vergine professa la sua fede nell’efficacia dell’intervento di Dio, benché sia nascosto ai nostri occhi il modo in cui Egli agisce e il momento in cui per tutti sarà evidente che Cristo è il Signore della storia.
La nostra comune Madre incessantemente intercede per noi, per affrettare il tempo nel quale il Signore darà la giusta ricompensa a quei poveri che sanno che Cristo è uno di loro.
Aspirare all’alto per servire
Parlare di povertà evangelica e umiltà non significa prospettare una vita da miserabili, nel nascondimento e all’ultimo posto. Il motto del cardinal Carlo Borromeo era: “L’umiltà aspira all’alto”. La persona umile si impegna a realizzarsi nella santità, nella formazione intellettuale e morale, nel raggiungimento di posizioni importanti non per essere servita, ma per essere in grado di servire meglio il prossimo.
Cristo non ci chiede di svestirci, ma di rivestire gli altri di dignità. Non ci chiede di patire la fame, ma di avere pane da condividere con il prossimo. Non ci chiede di vivere in una baracca, ma di avere un cuore che ospita chi ha bisogno di un aiuto morale o di una dimora in cui abitare.
Lui si è fatto povero per arricchirci del suo amore. E noi dobbiamo condividere questo amore – insieme alle cose materiali – con quanti la Provvidenza ci mette accanto.
È questo il messaggio dei Vangeli di queste domeniche:
- È corto il tempo dei capelli neri: la giovinezza è una “malattia” dalla quale presto si guarisce. Presto si invecchia. Dobbiamo pregare per invecchiare bene, per diventare santi e non essere di peso ai familiari.
- È pura stoltezza stare aggrappati a realtà effimere: è come appoggiarsi a una canna fessa. Ci ferisce la mano.
- È segno di saggezza ascoltare ciò che va ripetendo la Bibbia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo […]. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia” (Geremia 17,5-7).
- È espressione della sapienza divina considerare tutto vanità, tranne l’amare e il servire il povero.
- Fonte di eterna felicità sarà per tutti l’essere vissuti con un cuore che veglia, attende la venuta del Signore, lo cerca nella preghiera e lo trova sul volto del prossimo.
In sintesi, la parola del Signore ci invita a una santità che non consiste nel non peccare, ma nell’accettare i propri limiti, cercare di superarli e ricominciare ogni giorno da capo, in obbedienza al Vangelo.
Non è santo chi non cade, ma chi si rialza. Santo è chi perdona se stesso, non chi si ritiene giusto.
Santo è chi chiede perdono a Dio e al prossimo e, umilmente, riprende il suo cammino.
Santo è chi vive con un cuore che vigila nell’attesa del Signore che viene a noi, ogni giorno, nei panni di chi ha bisogno di un pezzo di pane e di uno sguardo d’amore.
Santo è chi attende il Signore, vegliando nella notte “con le lampade accese, vestito a festa”.
Valentino Salvoldi