VII Domenica anno A 2023 (Matteo 5,38-48)
“Ma io vi dico: amate i vostri nemici”
Sublime sguardo dei riconciliati
Due gruppi di persone: da una parte i familiari serbi dell’uccisore, dall’altra i parenti albanesi della vittima, nel Kosovo. S’avanza la madre dell’ucciso con in mano un pezzo di pane. L’uccisore lascia cadere una goccia del suo sangue su quel pane che la madre mangia, mentre concede il perdono all’assassino. Non solo: quest’ultimo viene “adottato” come figlio.
La riconciliazione è un atto divino e cura le nostre ferite interne: più tiranno di Hitler, Stalin, Milošević, Putin… è l’odio che una persona cova dentro di sé. Odio che si trasforma in un impagabile amore quando l’offeso perdona, e lo fa sia perché Cristo ce lo comanda, sia perché cerca la pace. È per noi vantaggioso – anche se arduo – concedere il perdono a chi ci fa del male: e lo perdoniamo non perché l’altro lo meriti, ma perché noi meritiamo la pace.
Ho partecipato più volte a questo rito sacro nel Kosovo, assieme all’amico prete Lush Gjergij che, durante il conflitto del 1998-99, ha testimoniato che si sono verificati circa seimila casi analoghi di riconciliazione tra kosovari albanesi e serbi.
Riguardo alla necessità del perdono, il Vangelo è chiaro: “Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: ‘Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?’. E Gesù gli rispose: ‘Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette’” (Mt 18,21-22).
E non solo il perdono, ma addirittura l’amore per i nemici: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? (Matteo 5,44-46). E ancora: “Se voi perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo 6,14-15).
Sulla croce Gesù, oltre a perdonare, giustifica i suoi persecutori: “Padre, […] non sanno quello che fanno” (Luca 23,34).
Pure la sapienza dei nonviolenti ci induce al perdono come al miglior dono che facciamo all’umanità e a noi stessi, liberando quel prigioniero che siamo noi quando non perdoniamo: “Errare è umano, perdonare è divino” (Alexander Pope). “Il perdono è l’essenza dell’amore. Amare è perdonare, perdonare è amare (Andrew Greeley). “Il perdono è l’ornamento dei forti” (Mahatma Gandhi).
È commovente assistere al rito del perdono: quello dei kosovari, quello dei coniugi che perdonano il tradimento, quello che celebriamo nel sacramento della Riconciliazione. È bello incrociare lo sguardo di chi perdona e di chi si sente perdonato. Un silenzioso sguardo d’amore vale più di mille doni. L’umile gesto di riconciliazione è già un anticipo di Paradiso in terra. Nuova creazione, la generosa offerta di perdono.
“Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”
Così si conclude il Vangelo odierno. Matteo è molto esigente a questo proposito. Più indulgente ci sembra Luca che afferma: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (6,36). Perfetti, misericordiosi o semplicemente amabili…: l’ideale è grande e ci convince sempre di più che è un dono di Dio essere capaci di perdonare e di amare. Da solo l’uomo non può sperare di amare come Dio ama; di avere un “possesso” armonioso del proprio e dell’altrui corpo; di fare del bene a un essere limitato e peccatore; di perdonare, anzi, di essere caritatevole verso chi è causa di un immenso dolore.
Se Dio non si fosse curvato su di noi per sollevarci dal nostro limite, diventando uno di noi e additandoci ideali sublimi come quelli espressi nel Discorso della montagna, sarebbe prevalsa nell’umana esistenza quella cattiveria che muta l’amore in odio o quella debolezza che fa scegliere il male anche là dove il bene è visto e approvato.
Comprendiamo, poi, quale debba essere l’estensione del nostro amore meditando la parabola del buon samaritano: inutile chiedersi chi sia il mio prossimo. La domanda piuttosto è da porsi in questi termini: “Quando posso ritenermi prossimo degli altri?”. E la risposta è chiara: quando provo compassione per chi è nel bisogno; quando faccio qualche cosa per lenire il dolore altrui; quando mi oppongo alla logica assurda del mondo che ripete la pazzesca affermazione: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”; quando mi impegno a eliminare le ingiustizie che affliggono l’umanità. Ce lo va ripetendo ogni giorno papa Francesco, sulle orme di Giovanni Paolo II: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”.
Perché Dio faccia festa in Cielo
Il perdono. La riconciliazione. Il sacramento della Confessione. Stupendi doni del Cristianesimo. Io sussurro i miei peccati a un prete, limitato come tutti gli esseri umani e lui, a nome di Dio, grida la misericordia dell’Altissimo che non è interessato al mio peccato, ma è grato a me che, riconoscendo il mio limite, gli procuro una grande gioia: “Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti” (Luca 15,7).
E non è necessario che il prete sia santo per concedermi efficacemente il perdono e per consacrare il pane e il vino. Cristo non ha scelto degli angeli per essere dispensatori della sua misericordia.
Nel mio limite, nel mio peccato, tremando di fronte alla mia assoluta indegnità, consacrando e assolvendo mi sento Dio, come divina è quella madre kosovara che mangia pane intriso del sangue dell’assassino di suo figlio e lo adotta, in risposta al comando: “… Ma io vi dico: amate i vostri nemici”.
Valentino Salvoldi