“È apparsa la grazia” (Tito 2,11)
“Cristo, nostra pace” (cfr Efesini 2,14)
Il Natale di Dio in terra è il natale dell’uomo in Cielo
Nei primi sette secoli del Cristianesimo è risuonata, come un ritornello, una verità che ha ribaltato sulla terra il modo di vivere, credere e sperare: “Dio si è fatto uomo, perché l’uomo si faccia Dio”. I più grandi santi Padri della Chiesa – a cominciare da Ireneo, Atanasio, Ambrogio e Agostino – hanno sviluppato questa bellissima intuizione nella loro teologia che ha plasmato la vita a molti cristiani: li ha spronati a lasciare tutto per incontrarsi con il Tutto, con Dio, e ad affrontare anche il martirio per incontrarsi con Cristo, volto di ogni nostro volto.
Dio diventa come noi affinché noi diventiamo come Lui, che anche oggi torna tra di noi per infonderci sentimenti di bontà e di amore, per darci felicità e pace. Viene tra di noi per aiutarci ancora una volta a prendere coscienza di noi stessi, della natura umana e della vita nuova donata a chi sta aggrappato al Signore. Vita piena. Vita in abbondanza. Vita tanto più umana, quanto più divina.
Gesù – fratello universale – viene non solo per noi che siamo cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, per annunciare anche agli atei e agli agnostici che se si sforzano di vivere bene, di creare un mondo di giustizia e di pace, vanno incontro a Cristo: “Egli infatti è la nostra pace” (Efesini 2,14).
Inno alla speranza
Cristo oggi torna tra di noi per farci rinascere alla speranza. È questa la virtù della quale l’umanità ha maggior bisogno. La speranza non è una virtù forte come la fede, né affascinante come l’amore. È la più umile delle virtù. È come quei piccoli fiori che a primavera spuntano ovunque. Non si vedono, ma imbalsamano l’aria e creano in noi un senso di benessere. La speranza è la virtù più discreta e la più necessaria per aiutarci a rinascere uomini nuovi assieme a Cristo.
Questo messaggio natalizio può essere riassunto con l’aneddoto delle quattro candele e il bambino.
In una stanza silenziosa c’erano quattro candele accese. Le quattro candele, bruciando, si consumavano lentamente. Il luogo era talmente silenzioso che si poteva ascoltare la loro conversazione.
La prima diceva: “IO SONO LA PACE, ma gli uomini non mi vogliono, preferiscono la guerra: penso proprio che non mi resti altro da fare che spegnermi!”. Così fu e, a poco a poco, la candela si lasciò spegnere completamente.
La seconda disse: “IO SONO LA FEDE, ma gli uomini non ne vogliono sapere di me, preferiscono le favole; purtroppo non servo a nulla, non ha senso che io resti accesa”. Appena ebbe terminato di parlare, una leggera brezza soffiò su di lei e la spense.
Triste triste, la terza candela a sua volta disse: “IO SONO L’AMORE. Non ho la forza per continuare a rimanere accesa. Gli uomini non mi considerano e non comprendono la mia importanza. Troppe volte preferiscono odiare!”. E senza attendere oltre, la candela si lasciò spegnere.
Un bimbo in quel momento entrò nella stanza e vide le tre candele spente. “Ma cosa fate! Voi dovete rimanere accese, io ho paura del buio!”. E così dicendo scoppiò in lacrime.
Allora la quarta candela, impietositasi, disse: “Non temere, non piangere: finché io sarò accesa, potremo sempre riaccendere le altre tre candele: IO SONO LA SPERANZA”.
Con gli occhi lucidi e gonfi di lacrime, il bimbo prese la candela della speranza e riaccese tutte le altre.
Speranza che illumina la notte
Fede, speranza e amore: con queste tre virtù teologali la nostra vita rimane pur sempre un mistero. Ma senza di esse sarebbe assurda. E tra l’assurdo e il mistero vale la pena scegliere il mistero che dà la gioia di cercare, di allargare i propri orizzonti, di conciliare la fede con la ragione, la parola dell’uomo e la Parola di Dio.
È quest’ultima che illumina i nostri passi, come vediamo nelle letture proclamate nella notte di Natale:
- Prima lettura: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce… Hai moltiplicato la gioia… Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”. Ogni bimbo che nasce illumina le nostre notti, porta nel mondo i sogni di Dio: ci invita a sperare, perché ogni nascita è segno che Dio non è ancora stanco di noi.
- Seconda lettura: “È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna… a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza” (Tito 2,11-13). Torna l’invito a sperare in Cristo che “ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone” (Tito 2,14).
- Vangelo: un angelo proclama ai pastori: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore”. Cristo sembra dirci: “Non perdete la speranza! Ho fatto annunciare la mia nascita ai pastori, perché gli Ebrei li ritenevano peccatori. Li consideravano come quelle bestie con le quali vivevano. Se voi riconoscete di essere peccatori, io sono per voi. Vi assicuro che non vi identificate con il vostro peccato. Io vi amo e vi faccio diventare come me, Figlio di Dio”.
Cristo nasce per noi. Per tenere viva la nostra speranza, infonderci un’intima pace e renderci “collaboratori della gioia” delle persone che Dio ci ha messo accanto. Perché ciò si realizzi, alimentiamo così la fiamma delle quattro candele:
- sussurrando nel nostro cuore: “Signore mio e Dio mio!” ogni volta che passiamo vicino a una persona, specialmente se siamo stati da lei offesi.
- riconciliandoci con coloro con i quali abbiamo litigato: l’ideale sarebbe recitare assieme un Padre nostro;
- gareggiando nello stimarci a vicenda, ritenendo gli altri superiori a noi.
Questo quotidiano esercizio darà pace al nostro spirito. Creerà pace in famiglia. Pace contagiosa che cambierà il mondo perché, per il credente, la pace non è qualche cosa, ma Qualcuno. Cristo in noi, speranza di pace. Valentino Salvoldi