XXIV domenica C 2022
(Luca 15,11-32)
“Il Signore si pentì del male
che aveva minacciato di fare al suo popolo”
(Esodo 32,14)
Prima di farci comprendere che il nome di Dio è “Misericordia”, l’evangelista Luca ci sfida con una serie di provocazioni. Lo abbiamo visto nella liturgia di questa estate che ci ha presentato Cristo come un guastafeste: non sopporta le mezze misure, rigetta i superbi, viene sulla terra per portare fuoco, spada, divisione e una pace diversa da quella che propone il mondo. Non vuole la pace dei cimiteri, per cui rigetta ogni guerra. Vuole che prendiamo gli ultimi posti, che siamo non il miele ma il sale della terra e che ci rendiamo conto che la porta che introduce alla vera vita è stretta e pochi passano attraverso di essa.
Con questa domenica la liturgia prende un’altra direzione, a cominciare dalla prima lettura: quel Dio che aveva deciso di sterminare il popolo immorale, infedele e idolatra, si lascia commuovere dalla preghiera di Mosè, si pente del male minacciato al suo popolo e mostra il suo volto misericordioso. Lo stesso messaggio è presentato da Gesù nel Vangelo: “Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte” (Luca 15,7). Gioia e festa nel concedere il perdono, nell’usare misericordia, nell’abbracciare il figliol prodigo.
La parabola del Padre prodigo
La Buona Novella proclamata da Luca e chiamata Vangelo dello Spirito Santo (Amore)”, Vangelo della misericordia e Vangelo della fratellanza, trova il suo apice nella parabola del “padre prodigo”.
Non poche persone hanno sperimentato l’angoscia d’attendere una persona amata che se ne è andata di casa sbattendo la porta. Nell’attesa, le ore non passano mai, soprattutto nelle lunghe notti in cui i fardelli si fanno più pesanti. I minuti paiono eternità, mentre si guarda all’orizzonte e ogni sagoma umana che avanza nelle tenebre fa sobbalzare il cuore…
Più passa il tempo, più sembrerebbe logica la sfuriata di chi ha tanto atteso, sofferto e sperato. Invece – miracolo dell’illogicità dell’amore –, quando finalmente c’è il ritorno a casa, colui che tanto soffrì nell’attesa dimentica le ore d’inferno trascorse e butta le braccia al collo della persona cara ritrovata.
Che felicità essere attesi così! Che sconvolgimento interiore rendersi conto che l’amore può regnare al di là del dare e del ricevere, al di là della logica basata sui meriti! Chi ama non calcola, non fa ritorsioni, non ricorda l’ingiuria subita: “Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Corinzi 13,7).
Così si comporta il genitore della parabola. Quando il secondogenito gli chiede la sua parte di eredità e se ne va, quanto più s’allontana materialmente da casa, tanto più scende in profondità nel cuore del padre che, dalla terrazza, lo vede allontanarsi da lui. Ai bagordi sopraggiunge la miseria, ed ecco il figlio del padrone ridotto a essere guardiano dei porci – la peggior umiliazione per un ebreo – e a desiderare di placare i morsi della fame con le carrube di cui essi si nutrono, “ma nessuno gli dava nulla”. Non fosse altro che per convenienza, meglio tornare a casa, e lavorare come i servi di suo padre.
Ed ecco che questi, prodigo nell’amore, non solo non rimprovera né punisce, ma accoglie l’errante con una grande festa. Il papà non ascolta la confessione del figlio, perché la gioia per il suo ritorno lo porta a vedere al di là della sua colpa. Fuori di sé, folle d’amore, grida: “Facciamo festa!”. E anziché rinfacciare al figlio i suoi sperperi, gli dona il proprio anello: gesto che equivale a renderlo di nuovo “padrone”, insieme a lui, di tutti i suoi beni.
Comprensibile l’invidia e l’ostilità del primogenito che non vuole vedere il fratello, né considerarlo tale: “Questo tuo figlio…”. E il padre lo corregge: “Questo tuo fratello!”.
Il primogenito, il giusto, colui che è sempre rimasto con il padre senza neppure chiedere un capretto per far festa con gli amici, mostra la sua miopia e l’ingratitudine di non rendersi conto che è stato più fortunato del fratello. Infatti, gli è stata risparmiata la caduta nel male, e ha sempre goduto dei beni paterni: “Tutto ciò che è mio è tuo…”. Si rifiuta di entrare in casa e d’incontrare il fratello. Ecco allora l’opera di mediazione del padre, che vorrebbe far capire al primogenito che il figlio minore ha sbagliato, ma non si identifica con il suo peccato. Fargli comprendere che senza la divina misericordia è impossibile amare, riconoscersi fratelli e riconciliarsi.
Riconciliazione con la comunità
Di fronte a qualsiasi situazione di peccato, il cristiano, confessandosi, si riconcilia con Dio, riconoscendo la propria colpa: “Contro di te, contro te solo ha peccato” (Salmo 51,6). Si riconcilia con i fratelli di sangue e con la comunità, riallacciando i ponti con tutti. Sperimenta la gioia di riconciliarsi con se stesso e di aggrapparsi a Cristo, che ci chiede di amare noi stessi e il prossimo come Lui ci ama. Egli ci supplica: “Lasciatevi riconciliare!”. Non ci vuole vedere ripiegati sul nostro peccato. L’abbiamo confessato? Non esiste più! Ricevuta l’assoluzione, siamo chiamati a vivere da risorti, a riscoprire la nostra bellezza, i nostri doni, la nostra unicità, la nostra immensa potenzialità di cambiamento, di crescita e di amore. Assolti, grandi cose possiamo ancora fare, se crediamo nella misericordia di Dio.
La confessione diventa così una nuova creazione, una proposta di una vita nuova, la gioiosa esperienza che noi siamo amati, nonostante tutto. Possiamo quindi tornare a vivere bene, grati alla Provvidenza per il privilegio d’invecchiare, di cogliere in ogni attimo del nostro precario vivere un frammento di immortalità, di godere per la riconciliazione con ogni persona, sentita come nostro fratello, come nostra sorella. E con tutti lodare e ringraziare Dio, che si pente del male minacciato a noi per i nostri peccati e ci chiede di dargli l’occasione di fare festa in Cielo. La festa del perdono, della riconciliazione e della gioia di sperimentare che Dio è contemporaneamente Padre e Madre. Perché è Amante, Amato e Amore. Perché – come abbiamo ricordato la scorsa domenica – il suo nome è “Misericordia”.
Valentino Salvoldi