La coscienza del peccato e del bello
In questi ultimi decenni, la verità ha risentito del fatto di essere strumentalizzata dall’ideologia, messa in dubbio dai relativisti e negata da quanti caratterizzano come “post-verità” il nostro tempo. In questo contesto, la via della bellezza può aprire la strada all’incontro con la Bellezza assoluta, a condizione che il ricercatore del bello – visto come valore legato sempre alla verità – sia realista nell’ammettere l’esistenza del peccato. Non a caso, le culture che accettano il fatto che l’essere umano è limitato, reso debole da una struttura di peccato, appartenente a una umanità moralmente ferita fin dalle origini, sono coscienti di quanto sia deleterio non fare i conti con i nostri limiti: il nostro peccato personale offusca la mente e il cuore. Ciò porta l’essere umano a negare la possibilità che Dio esista. Di conseguenza, la bellezza è considerata solamente come un bene da fruire a livello personale e un’occasione per arricchirsi o mettersi in mostra.
Colui che nega Dio e l’esistenza del peccato fa della bellezza non un trampolino di lancio verso il fondamento di ogni realtà, ma un’esca che intrappola nel laccio dell’idolatria e della ricerca sregolata del piacere. La bellezza sganciata dalla verità del nostro limite e peccato perde il suo naturale riferimento al trascendente, e porta a espressioni d’inaudita bruttezza: basti pensare alla musica, che diventa rumore, e a ogni altra forma d’arte snaturata e ferita nella sua dignità.
Per tutti questi motivi, San Paolo non esita a scrivere ai Romani che quanti non ammettono la realtà del peccato e diventano atei “non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile…” (Romani 1,20-23).
L’Apostolo reputa inescusabili i pagani perché, pur avendo in sé lo stimolo al bene ed essendo fatti a immagine del Creatore, hanno tenuto prigioniera la verità, si sono ripiegati su se stessi per dare libero sfogo alle loro passioni. La bellezza li ha attratti e spaventati, per cui hanno preferito negare il suo valore di ponte verso l’Assoluto, per poter assolutizzare se stessi.
Dostoevskij sintetizza questo pensiero nella provocazione che l’ateo Dimitri Karamazov fa al fratello Alëša, che sta preparandosi per diventare pope: “La Bellezza è una cosa terribile. È la lotta tra Dio e Satana e il campo di battaglia è il mio cuore”.
Il cuore schiavo della colpa non riesce a vedere oltre i limiti della propria prigione e perde le occasioni per elevarsi a Dio. Il cuore che ascolta, che è pulito ed è cosciente del peccato personale e collettivo – e proprio per questo trova in Dio la propria forza – fa della bellezza una preghiera di lode e di purificazione: lode per i doni profusi gratuitamente dal Signore, ma anche catarsi e redenzione. Infatti la bellezza è figlia di Dio, ma anche di Adamo ed Eva. È segnata da quel peccato dal quale solo ci può liberare il più bello dei figli dell’uomo: Cristo.
Valentino Salvoldi